martes, 23 de abril de 2024
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San Giuseppe Moscati, il medico di Dio

Napoli (Giovedì, 22-11-2018, Gaudium Press) Giuseppe Moscati, un Santo uomo e un Santo medico. Visse in modo esemplare il rapporto tra scienza e fede. Provvisto di una solidissima preparazione scientifica, autore di numerosi saggi su riviste di settore italiane e internazionali, tra i primi in Italia a usare l’insulina per curare il diabete, libero docente universitario di chimica fisiologica (caldeggiato da Antonio Cardarelli) e chimica medica, Moscati non aveva dubbi su quale dovesse essere il fine della vita terrena: «Non la scienza ma la carità ha trasformato il mondo in alcuni periodi; e solo pochissimi sono passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell’eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa per un più alto ascenso, se si dedicheranno al bene». E ancora: «Il progresso sta in una continua critica di quanto apprendemmo. Una sola scienza è incrollabile e incrollata, quella rivelata da Dio, la scienza dell’al di là».

Settimo di nove figli, nacque a Benevento e a quattro anni si trasferì con la famiglia a Napoli (nel mezzo c’era stata una parentesi ad Ancona), per via del lavoro del padre, un magistrato. Già a 12 anni iniziò ad assistere il fratello Alberto, che aveva riportato un trauma cranico a causa di una grave caduta da cavallo (morirà per complicazioni nel 1904), e fu allora che verosimilmente maturò la sua vocazione, unita alla consapevolezza della provvisorietà della vita in questo mondo. Nel 1897 si iscrisse alla facoltà di Medicina, una delle più influenzate dalla cultura materialista e atea, tipica del Positivismo. Ma Giuseppe, il cui motto era «amare Dio senza misura, senza misura nell’amore, senza misura nel dolore», ne uscì ancor più fortificato nella fede, laureandosi nel 1903 con una tesi sull’ureogenesi epatica, giudicata degna di stampa.

Pochi mesi più tardi iniziò a lavorare all’Ospedale degli Incurabili e nel 1906, durante l’eruzione del Vesuvio, il suo intervento nella struttura distaccata di Torre del Greco si rivelò provvidenziale: fu lui a farla evacuare tempestivamente e si mise di persona a caricare gli ammalati sugli automezzi. Il tetto crollò poco dopo aver messo in salvo l’ultimo paziente. Quando il colera colpì Napoli nel 1911, la sua relazione sulle opere necessarie per il risanamento della città contribuì a limitare l’epidemia. Commovente era poi la carità che mostrava verso i malati più poveri. Nell’anticamera del suo studio privato aveva posto un cestino con la scritta: «Se hai, mettici quanto vuoi. Se non hai, prendi».

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E sono varie le testimonianze di pazienti che si videro restituire il denaro dato al santo, il quale, mentre esortava i giovani allievi a sposarsi, visse sempre da celibe e in castità perché vedeva la sua missione da medico alla stregua del sacerdozio, in cui «il dolore va trattato non come una contrazione muscolare, ma come il grido di un’anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l’ardenza dell’amore, la carità, occupandosi del corpo e dello spirito».

Sorgente del suo amore per il prossimo erano la preghiera e l’Eucaristia, vero centro della sua vita, che riceveva quotidianamente. Digiunava in preparazione alle festività della Madonna, verso la quale era devotissimo, e non nascondeva mai la sua fede, noncurante delle derisioni di colleghi massoni e anticattolici.

San Giuseppe Moscati convinto del valore anche terapeutico dei Sacramenti, per l’influsso salutare che la grazia divina esercita sia sull’anima che sul corpo, san Giuseppe Moscati non mancava mai di raccomandare agli ammalati, nel congedarli, queste medicine essenziali: la Confessione e la Comunione.

Un giorno, ad un infermo di Amalfi, nel consegnargli la ricetta per la cura di una pericolosa infermità, diceva: «Tornando a casa in Amalfi, fermatevi a Valle di Pompei, confessatevi e comunicatevi: questa è la mia medicina.»

Un povero operaio, dichiarato da altri medici tisico, fu consigliato di consultare il professor Moscati. Nell’osservarlo, senza che l’ammalato avesse pronunciato una sillaba, il professore domandò: «Ti hanno dichiarato tisico?» Al segno affermativo del paziente, il professore esortò: «Senti, sii devoto della Vergine e frequenta spesso i sacramenti, tu non sei ancora un tisico. Il tuo male è un ascesso al polmone, guaribile, prodotto da una malattia che subisti in gioventù.» Una cura specifica guarì miracolosamente il povero operaio. Non si può nascondere, poi, la meraviglia di questo ammalato quando volle dare l’onorario al professore, e questi non volle accettarlo, ma gli disse: «Se veramente mi vuoi pagare, vatti a confessare, perché è Dio che ti ha salvato.»

Era sempre umile e di buona compagnia. Un giorno, mentre dirigeva l’Istituto di anatomia patologica, chiamò i suoi assistenti nella sala delle autopsie per mostrare loro un crocifisso, sotto il quale si leggeva: Ero mors tua, o mors, «Io sarò la tua morte, o morte». Grazie alla fede nel Risorto non temeva la morte, che lo colse all’improvviso a meno di 47 anni (proprio lui, consapevole della necessità di curare l’anima, diceva che «per chi è preparato, la morte improvvisa è la migliore»), venendo poi onorato da un immenso corteo funebre. In un’epoca come la nostra, pervasa da una cultura anti-vita che ha fatto entrare l’aborto e l’eutanasia tra le pratiche ‘mediche’, l’esempio di san Giuseppe Moscati è più attuale che mai.

I Gesuiti, a cui è tuttora affidato il Gesù Nuovo, non raccolsero solo la sua eredità materiale, ma si fecero custodi del suo ricordo e seguirono l’aumento della sua fama di santità. La sua causa di beatificazione si è quindi svolta nella diocesi di Napoli a partire dal 1931. Dichiarato Venerabile il 10 maggio 1973, è stato beatificato a Roma dal Beato Paolo VI il 16 novembre 1975.

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A seguito del riconoscimento di un ulteriore miracolo per sua intercessione, dopo i due necessari per farlo Beato secondo la legislazione dell’epoca, è stato canonizzato da san Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1987. In quel periodo si stava svolgendo la VII Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi su «Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo a vent’anni dal Concilio Vaticano II»: non poteva esserci occasione migliore per indicarlo alla venerazione dei cattolici di tutto il mondo.

Il 16 novembre del 1930 i suoi resti vennero trasferiti dalla cappella dei Pellegrini nel cimitero di Poggioreale alla chiesa del Gesù Nuovo e collocati nel lato destro della cappella di san Francesco Saverio. Sempre il 16 novembre, ma del 1977, quindi due anni dopo la beatificazione, vennero posti sotto l’altare della cappella della Visitazione, a seguito della ricognizione canonica.

La memoria liturgica di san Giuseppe Moscati nel Martyrologium Romanum è il 12 aprile ma localmente, dato che il giorno della nascita al Cielo può cadere nei giorni tra la fine della Quaresima e l’Ottava di Pasqua, è stata fissata al 16 novembre.

In Famiglia

Sarebbe una bella cosa se il capofamiglia, in questi tempi di trionfo del relativismo, leggesse ai propri figli queste importanti parole di san Giuseppe Moscati:

«Ama la verità; mostrati qual sei; e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se il tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio».

Informazioni tratte da: L’arte del guarire. Storia della medicina attraverso i santi, di Paolo Gulisano, 2011

 

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