Redazione (Lunedì, 08-07-2019, Gaudium Press) La storia delle apparizioni di Akita ha inizio il 12 giugno 1973 con suor Agnes Sasagawa, delle Ancelle dell’Eucaristia, la quale ha iniziato a ricevere delle visioni celesti presso un convento di Akita, in Giappone.
Inizialmente, la suora ha visto degli esseri angelici che adoravano l’Eucarestia ma il 6 giugno ha visto una statua della Madonna che le parlava proponendole un messaggio molto potente, simile a quello ricevuto dai tre pastorelli a Fatima.
Poco tempo dopo, la statua ha iniziato a sanguinare e dalle guance scendevano lacrime, a testimoniare l’evento sono state circa 2000 persone ed il liquido è stato raccolto ed inviato ad un laboratorio di analisi.
A studiare la manifestazione sono stati un professore del Dipartimento di Biochimica dell’Università di Akita, un esperto forense non cristiano, il dottor Kaoru Sagisaka. Essi hanno confermato che sia il sangue che le lacrime erano di origine umana.
Dopo aver effettuato varie indagini, il Vescovo del luogo, John Shoojiroo Ito di Niigata, ha affermato che l’apparizione era di origine soprannaturale.
Il messaggio dato dalla Madonna a suor Agnes Sasagawa era simile a quello dato dalla Vergine ai tre pastorelli di Fatima. Come a Fatima anche ad Akita, la Vergine Maria ha chiesto la recita quotidiana del santo rosario, di fare digiuno e penitenza per la salvezza e la pace nel mondo.
Il rosario era considerato l’arma per evitare ogni calamità futura.
Inoltre la Vergine ha dato un messaggio molto forte parlando delle difficoltà che la Chiesa avrebbe incontrato in futuro.
La Madonna anche in quest’apparizione mette in guardia gli uomini, dal condurre una vita lontana da Dio. Chiaramente queste apparizioni possono considerarsi rivelazioni private e nessuno è obbligato a crederci ma è anche vero che il contenuto dei messaggi di queste apparizioni è esattamente simile a quelli dati dalla Madonna a Fatima, la quale anche lì, ha messo il mondo in guardia, attraverso i pastorelli, dal vivere lontani da Dio ed immersi nel peccato. (Rita Sberna)
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