Redazione (Lunedì, 24-02-2020, Gaudium Press) Don Dolindo Ruotolo nasce nel 1882 e muore nel 1970, proveniva da una famiglia numerosa di undici figli, lui era il quinto, suo padre Raffaele era un matematico, e sua mamma Anna Valle era una nobildonna proveniente da una famiglia di origine spagnola. Nacque a Napoli nel quartiere Forcella.
I genitori di don Dolindo purtroppo si separarono a causa del carattere duro e aspro del padre, vittima della sua avarizia che si scontrava con la dolcezza e le abitudini della moglie.
In un’autobiografia di don Dolindo, il sacerdote ha raccontato che il suo nome vuol dire «dolore» e si è rivelato una profezia proprio per tutti i dolori che dovette affrontare in famiglia e le umiliazioni anche al seminario.
Conobbe San Pio da Pietrelcina e tra i due, nacque una profonda amicizia tantè che il frate mostrava a don Dolindo, i segni del Calvario di Cristo.
Entrambi subirono gli stessi attacchi da parte del Santo Uffizio, tra cui quello (per un periodo di tempo) di non potere celebrare la Messa in pubblico. Ebbero il dono della massima ubbidienza ai superiori e alla Volontà di Dio e il dono della profezia.
Le giornate di don Dolindo cominciavano con la sveglia alle 2.30 per poi terminare a mezzanotte. Giornate in cui pregava molti rosari e varie preghiere, leggeva la Sacra Scrittura, sosteneva spiritualmente tutte le anime che si avvicinavano a lui come gli ammalati.
Fondò l’Apostolato Stampa, che ancora oggi tramite i frati francescani dell’Immacolata, si occupano di divulgare i suoi scritti, formò diverse figlie spirituali che hanno il compito di educare le nuove generazioni alla chiamata di Dio.
E’ famoso soprattutto per «L’Atto di abbandono in Gesù» una preghiera contro le ansie e le afflizioni, profetizzò il largo anticipo la salita al papato di Giovanni Paolo II, ed ebbe il privilegio di godere un intimo rapporto con Gesù, la Madonna e alcuni santi come Santa Gemma Galgani.
Morì il 19 novembre 1970 per una brutta broncopolmonite.
La sua salma riposa nella Chiesa dell’Immacolata di Lourdes e San Giuseppe dei Vecchi a Napoli, ormai meta di pellegrinaggi da tutto il mondo.
Nella sua autobiografia, per ciò che riguarda i suoi incontri con gli angeli, si legge:
Io, giovinetto, a 14 anni, essendo chierico, fui incaricato di aver cura della lampada del SS. Sacramento, perché non si spegnesse. I lumini che avevo a mia disposizione erano difettosi, si spegnevano in varie ore, senza che io potessi calcolarne la durata. Nel giorno vigilavo io, ispezionando di tanto in tanto la lampada, ma nella notte come potevo fare questa vigilante ispezione? Pregai con semplicità e la fede di un fanciullo l’Angelo mio Custode che mi avesse svegliato un minuto prima che si spegnesse la lampada. Un minuto, perché, a mia vergogna, non volevo perdere sonno. Un minuto mi bastava per andare dal letto alla Cappella, dov’era Gesù Sacramentato. Ogni notte, in varie ore, secondo il…capriccio dei lumini, mi sentivo dolcemente battere sulla spalla destra come voce che mi chiamava: «Dolindo, la lampada» . Ed io scendevo, e la lampada stava per spegnersi. La smoccolavo e ritornavo a letto. Una notte, una brutta notte, fui pigro; che pena a ricordarlo! Sentii la mano sulla spalla, la voce che mi chiamava e, ripugnandomi di alzarmi, pensai che potevo ingannarmi. Rimasi un minuto solo a poltrire, ma mi ripigliai.
Fatti di questo genere nei due volumi autobiografici ce ne tanti. (Rita Sberna)
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